Evito di recensire opere celebri per un preciso
motivo: il mio commento puramente amatoriale nulla potrebbe aggiungere in
termini di analisi critica. Tuttavia, se è vero che un classico è un libro che non
ha mai finito di dire ciò che ha da dire, è sempre possibile coglierne una
nuova sfumatura. Il buio oltre la siepe è a tutti gli effetti un classico
moderno, universalmente noto anche grazie a una fortunata riduzione
cinematografica. Si è detto tutto di questo libro, considerato il manifesto
antirazzista per eccellenza.
La vicenda è ambientata in Alabama negli anni
Trenta del secolo scorso. Viene narrata attraverso gli occhi della piccola Scout,
sebbene il vero protagonista sia il padre di quest'ultima, l'avvocato Atticus
Finch. Il legale è un uomo retto, intellettualmente onesto, profondamente
devoto alla sua professione. E proprio l'operato professionale di Atticus ci
offre un'ulteriore (e poco approfondita) chiave di lettura del libro. Quando si parla del romanzo di Harper Lee, solitamente si dibatte su temi quali
la discriminazione, il razzismo, il bigottismo e la miopia culturale della
provincia americana. Si dimentica però un altro punto focale: Il buio oltre la
siepe è un elogio del ruolo sociale dell'avvocatura, con particolare
riferimento a quella funzione essenziale – e spesso negletta specialmente dalla
politica – che è la difesa d'ufficio.
La vicenda al centro del libro è nota. Atticus
Finch viene incaricato della difesa d'ufficio di Tom Robinson, un uomo accusato
di violenza carnale. Oltre che per il tipo di reato, il caso è particolarmente
spinoso per due ragioni. In primis, per quel delitto in Alabama è prevista la
pena di morte. In secondo luogo, l'imputato è di colore mentre la presunta
vittima è una diciannovenne bianca. Il calvario giudiziario di Tom Robinson va
di pari passo con la gogna cui è sottoposto Atticus Finch, accusato di essere
un “negrofilo”, un traditore della “razza bianca” e della sua presunta
superiorità. Alla fine Robinson verrà condannato, nonostante l'esistenza di
ragionevoli dubbi sulla sua colpevolezza; è un'ingiustizia enorme, eppure già
scritta a causa del colore della pelle dell'imputato. Atticus è consapevole di
essere diventato a sua volta un bersaglio della furia razzista, ma sa di non
potersi sottrarre a un caso che involge la sua coscienza. Cerca così di
spiegarlo agli increduli figli.
«Quel che posso dirvi è che quando tu e Jem sarete grandi, forse ripenserete a queste cose con compassione, e capirete che non ho tradito la mia famiglia, ma che se vi ho esposto a difficoltà, è stato perché non potevo fare diversamente. Questo di Tom Robinson è un caso che tocca direttamente il vivo della coscienza di un uomo.»
Attualizzando il discorso, potremmo dire che
Atticus subisce la cosiddetta “macchina del fango”, la gogna mediatica che
negli ultimi dieci anni ha assunto la forma dell'indignazione da social network. L'odio si trasmette dall'imputato al suo difensore, come se
quest'ultimo fosse un correo e non un garante del giusto processo. Gli abitanti
di Maycomb – non tutti, ma la maggioranza – accusano Atticus di difendere il
reato e non il reo, di volersi ergere a paladino dei neri, nonostante sia
risaputo che questi ultimi si fanno sovente sopraffare da istinti bestiali che
li inducono a commettere reati. Un pensiero barbaro, senza dubbio; ma siamo
sicuri che appartenga davvero al passato? Purtroppo non è così. Basta leggere i
commenti sotto un qualsivoglia fatto di cronaca che sconvolge l'opinione
pubblica. Quasi sempre l'avvocato diventa un bersaglio, attaccato con maggiore
veemenza per il fatto di difendere il Tom Robinson di turno. C'è una parte
dell'opinione pubblica, non dissimile dai benpensanti dell'Alabama, che non
comprende l'enorme differenza che c'è tra il garantire la difesa tecnica e
cercare escamotage per l'impunità, tra il difendere il reo e giustificare il
reato. L'avvocato non difende il delitto, offre assistenza tecnica per
garantire che il processo sia equo, cardine imprescindibile del moderno Stato
di diritto. Viviamo purtroppo in un'epoca in cui il ruolo sociale
dell'avvocatura è appannato dalla logica distorta di chi identifica difensore e
persona difesa, di quanti, digiuni di cultura giuridica, vorrebbero che i
processi si facessero senza avvocati.
La lezione di Atticus è valida ancora oggi,
sebbene provenga da un'altra epoca e da un ordinamento giuridico profondamente
diverso dal nostro. Atticus Finch è l'emblema del legale che assume un incarico
spinoso non per lucrarci o guadagnare notorietà, ma per portare avanti una
battaglia di civiltà e giustizia, sebbene sia consapevole in partenza di essere
destinato alla sconfitta. E purtroppo, proprio per il fatto di essere stato un elemento
essenziale dell'imperfetta macchina processuale, Finch subirà un duro colpo dalla condanna di Robinson.
«A un avvocato succede almeno una volta nella sua carriera, proprio per la natura del suo lavoro, che un caso abbia una ripercussione diretta sulla sua vita.»
Bisognerebbe
dunque rileggere Il buio oltre la siepe secondo quest'ottica, per ridare valenza, agli occhi dell'opinione pubblica, alla funzione sociale dell'avvocatura, che
molti colpevolmente negano o dimenticano.
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