29 gennaio 2022

"Una banda di idioti" di John Kennedy Toole: una risata vi seppellirà

Ho già parlato altrove delle drammatiche peripezie che hanno condotto alla pubblicazione di questo romanzo. John Kennedy Toole (1937-1969) scrisse appena due libri, per giunta pubblicati postumi. Si suicidò nel 1969, all'età di trentadue anni, senza aver dato alle stampe un solo volume. La madre, con encomiabile pervicacia, tentò di far pubblicare un corposo manoscritto ritrovato nella stanza del figlio, proponendolo senza esito a diversi editori. Finalmente nel 1980, grazie all'intercessione dello scrittore Walker Percy che ebbe la pazienza di leggere quei fogli unti e ingialliti, Una banda di idioti vide la luce nelle librerie americane. Fu un successo straordinario di pubblico e critica, che valse allo sfortunato autore un Premio Pulitzer postumo, nel 1981. Tuttora è uno dei più celebri long-seller della letteratura statunitense.

Parlare del romanzo significa inevitabilmente girare intorno a Ignatius J. Reilly, il suo atipico protagonista. Ignatius ha trent'anni e vive a New Orleans, in una modesta casa di Constantinople Street, assieme alla madre vedova. Riconoscerlo è facile: ha i baffi, è grande e grosso, indossa sempre un cappello con paraorecchie, camicia di flanella, pantaloni larghi e una lunga sciarpa. Ignatius odia i suoi simili e l'epoca in cui ha avuto la sventura di nascere; per lui l'Illuminismo ha dato il via alla inesorabile degenerazione del genere umano, mentre l'età aurea dell'umanità è stato il Medioevo. Quando osserva le altre persone inorridisce, perché ritiene manchino di “geometria e teologia”. Suo mentore è Boezio, autore del De consolatione philosophiae, opera che venera come un testo sacro. Ignatius è dunque tutt'altro che un eroe nel senso classico del termine: è apatico, odioso, indolente, saccente, misantropo, misogino, omofobo, vagamente razzista, asociale, narcisista, convinto di essere portatore di una superiorità morale e intellettuale sugli altri uomini. Ciononostante, si finisce per amarlo.
La trama può essere riassunta in poche battute. Ignatius e la madre provocano un sinistro stradale e vengono identificati da un poliziotto. Il danneggiato richiede un cospicuo risarcimento, che rischia di far affondare le finanze già traballanti della famiglia Reilly. Tampinato dalla madre, Ignatius è costretto a cercare un lavoro, il primo della sua vita. Ha così inizio una sequela di esilaranti vicende, nelle quali si manifesta l'inevitabile scontro tra il mondo immaginario di Ignatius e la realtà da lui tanto odiata perché carente di teologia e geometria. Sebbene il romanzo possa essere vagamente ascritto al genere picaresco, più ancora delle peripezie del protagonista sono i personaggi di contorno a rimanere impressi nella mente del lettore. Una banda di idioti è una feroce satira sociale, un attacco sfrontato contro la società americana, condotto però attraverso l'arma dell'ironia. Tutti i personaggi sono a modo loro degli idioti, a partire dall'agente Mancuso, costretto dai suoi sadici superiori a ridicoli travestimenti pur di arrestare qualche malvivente. Spiccano il caustico Jones, perennemente nascosto dietro gli occhiali da sole e una cortina di fumo, il vecchio Claude fissato coi comunisti, il fido Gonzalez e la rimbambita signorina Trilly delle Manifatture Levy. E come dimenticare la nazista in pantaloni di pelle Lana Lee, la radical chic Myrna Minkoff, Santa Battaglia, Gus Levy e la stessa signora Irene, madre di Ignatius? Personaggi di contorno, eppure perfettamente delineati dall'incisiva penna di Toole.  
Una banda di idioti rappresenta uno di quei (pochi) casi in cui il successo postumo di un libro non dipende da un omaggio pietoso del pubblico nei confronti dell'autore prematuramente scomparso. È un'opera davvero emblematica, un'ironica invettiva contro tutte le istituzioni borghesi, la famiglia in primis. E invero, l'ironia è il punto di forza del romanzo, come peraltro osservato da tutti i critici. La prima parte si mantiene su livelli davvero esilaranti: si ride molto e di gusto. Dalla metà in poi si assiste invece a un'estremizzazione del personaggio di Ignatius, che rallenta la narrazione e ne raffredda la verve comica.
Un libro di tal fatta non potrebbe essere partorito dalla nostra epoca, ossessionata dal politicamente corretto a ogni costo. Verrebbe subissato di critiche, senza comprenderne fino in fondo l'anima dadaista, schiettamente nichilista, beneficamente sincera e liberatoria. Reilly lancia i suoi strali in egual misura contro il capitale e i lavoratori, è vagamente razzista eppure incita i neri alla rivolta, è omofobo ma vorrebbe un Presidente omosessuale, odia gli hippies eppure la sua unica amica è un'irriducibile figlia dei fiori. Ignatius in fondo è come tutti gli umani: una somma di contraddizioni. Odiarlo significherebbe essere più misantropi di lui.
Copertina dell'edizione italiana (Marcos y Marcos)

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