31 agosto 2023

"Il rappresentante" di Joseph O'Connor: cos'è la Giustizia?

Il rappresentante che dà il titolo al romanzo è Billy Sweeney, ex alcolizzato di quarantanove anni, occupato nel settore delle antenne paraboliche. Una triste sera del 1994 l'amata figlia Maeve viene rapinata da tre balordi; i rapinatori, tutti tossicodipendenti, non hanno pietà e la colpiscono ripetutamente alla testa, riducendola in fin di vita. Maeve finisce in coma in terapia intensiva; nessun medico sa dire con certezza se e quando si risveglierà. I tre vengono arrestati e condotti in prigione, ma uno di loro, Donal Quinn, fugge durante un'udienza e si dà alla macchia. Devastato dal dolore, Billy comincia a perlustrare palmo a palmo la città durante lunghe notti insonni: inizialmente il suo obiettivo è quello di catturare Quinn, poi si decide a ucciderlo con le proprie mani. Non ripone fiducia nei tribunali e nella magistratura: vuole farsi giustizia da sé.
Il romanzo è il cupo racconto di un'ossessione divorante, un lento scivolare nella follia, dagli esiti imprevedibili e drammatici. Billy racconta in prima persona la vicenda, compilando tutte le notti un taccuino segreto su cui riversa i ricordi del passato e le ansie del presente. Scrive per la figlia, sperando che un giorno Maeve si risvegli e possa leggerlo. La scrittura autobiografica diventa occasione per un'amara riflessione sui propri errori e al contempo un insperato tentativo di perdonarsi. Le vicende del presente si intrecciano con i ricordi del passato e vengono da questi mediate e compensate.
Il rappresentante è un'opera quanto mai attuale, più di quando venne pubblicata venticinque anni fa. Il farsi giustizia da sé è una tendenza innata nell'animo umano, ma negli ultimi anni, a causa della diffusione dei social network, si sta assistendo a un pericoloso ritorno di questa tentazione. Per rendersene conto basta leggere i commenti pubblicati dagli utenti sotto le notizie di cronaca: protetti dall'anonimato, vomitano addosso al mostro di turno una dose di violenza persino sproporzionata rispetto all'entità della vicenda commentata. Pena di morte e tortura sono i cavalli di battaglia di questi vendicatori del ventunesimo secolo. Ma cosa significa davvero farsi giustizia da sé? Catturare, punire, uccidere chi ci ha fatto del male, è davvero fonte di soddisfazione? Oppure rispondere al male con un altro male ci rende peggiori? Queste e altre sono le domande che O'Connor pone al lettore, lasciando che ciascuno elabori da sé la risposta.
Oggi l'Irlanda è considerata un'isola felice. Il Paese descritto da O'Connor è invece lontano da quest'immagine da cartolina: sciovinista, violento e avvelenato dall'odio verso inglesi e protestanti. L'azione si svolge in una Dublino proletaria e misera, nelle periferie devastate dall'eroina in cui centinaia di giovani sopravvivono con i sussidi statali o commettendo piccoli reati. O'Connor non inventa nulla, si limita a raccontare la città cupa che conosce bene, talvolta illuminata da sprazzi di pura umanità, di cui pure Billy si dimostra capace.
Alcuni recensori hanno parlato di thriller per descrivere questo romanzo, definizione che non mi trova d'accordo. Il rappresentante è un romanzo profondo che nulla ha a che vedere con gli stilemi del thriller. È vero che c'è una tensione strisciante dall'inizio alla fine, così come prevalgono atmosfere plumbee e notturne. Tuttavia, l'ossessiva ricerca dell'aggressore della figlia da parte di Billy non è il cuore del romanzo, ma solo l'occasione per una riflessione. O'Connor chiede al lettore di mettersi nei panni del protagonista e di prendere posizione su una drammatica domanda: la vendetta è una forma di giustizia o un intollerabile abuso?

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