18 luglio 2024

"Gli ospiti di quel castello" di Ercole Patti: l'enigma della carne

Come ben sa chi ha letto qualche romanzo di Ercole Patti, i due poli geografici della sua narrativa sono Catania e Roma. La prima è descritta come una città molle e indolente, su cui spira un vento che è un dolce veleno, inducendo al sonno e all'abbandono. La seconda, sia pure non troppo diversa per pigrizia e mollezza, diventa un luogo di corruzione specialmente per i giovani siciliani che vi trascorrono un periodo di studio o lavoro lontano dalla famiglia. Roma accende i sensi di questi giovani e consente loro di coltivare quei vizi che non oserebbero manifestare nella terra natale. Così è per Giovannino, principale attore dell'omonimo romanzo del 1954, e così è anche per il protagonista del libro di cui vorrei parlare.
Gli ospiti di quel castello fu pubblicato nel 1974, due anni prima della morte dello scrittore catanese, di cui è una sorta di testamento. È un'opera di agevole lettura, seppure enigmatica e ricca di simbolismi, tanto da collocarsi in una posizione a parte nella narrativa di quegli anni, più interessata a descrivere la società contemporanea e le sue contraddizioni. Patti invece ci riporta indietro di una decina di lustri, a quella metà degli anni Venti in cui il fascismo consolidava il proprio potere. Salvo brevi accenni, per lo più ironici, il racconto non ha tuttavia intenti politici, né di ricostruzione storica. Anzi, il presente e il passato sono talmente intersecati tra loro che si può parlare di una storia senza età.
La vicenda si svolge in una Roma placida e autunnale dove vive il protagonista del racconto, un ventitreenne che si è ivi trasferito dalla natia Sicilia. Intuitivo dunque pensare che si tratti di un alter ego dell'autore. L'esistenza del ragazzo scorre piuttosto monotona, se non fosse per le fugaci avventure amorose con cameriere e domestiche delle pensioni popolari in cui abita. Un giorno però, nei pressi di Piazza San Silvestro, il giovane percorre un vicoletto che non aveva mai notato prima, uno dei tanti che si dipanano nel centro storico. La viuzza conduce a un cancello malmesso, oltre il quale si estende un grande parco. Al centro del giardino, nel cuore della Città eterna ma al tempo stesso in un indefinito altrove, si erge un castello. Il ragazzo si fa coraggio, entra nel palazzo e di colpo si ritrova invecchiato di cinquant'anni.
Ha così inizio una curiosa avventura tra il realistico e l'onirico che vede il protagonista confrontarsi con gli "ospiti" del castello, personaggi enigmatici che vivono per qualche tempo nelle avite stanze e poi di colpo vengono portati via su un calesse guidato da un cocchiere col cilindro nero, forse la personificazione della Morte. Tutti gli ospiti, sebbene diversi tra loro, hanno due punti in comune: appartengono in qualche misura al passato del protagonista e, come lui, sono degli erotomani. Attraverso queste figure guidate da un'incontenibile sensualità, Patti vuole indagare l'enigma della carne, comprendere le ragioni che spingono l'essere umano a trasgredire alle regole della convenienza pur di soddisfare un effimero desiderio. Gli ospiti di quel castello vuole così essere una riflessione sul rapporto tra gioventù e senilità, la prima arresa alla selvaggia urgenza dell'eros, la seconda lacerata dal disfacimento fisico eppure ancora sensibile ai colpi devastanti di una sensualità mai sopita. All'interno di questo più ampio tema si inseriscono altri grandi conflitti, come quello tra amore e morte, ritrosia e sfacciataggine, corpo e spirito. 
Il romanzo ottenne lusinghieri pareri alla sua uscita, anche da parte di scrittori affermati come Prisco, che ne lodarono l'eccentricità rispetto alla produzione coeva. Devo tuttavia osservare che il mio parere non è altrettanto entusiasta. Al di là del piano più squisitamente narrativo, non sono riuscito a cogliere i simbolismi che pure si celano tra queste pagine. Nulla da obiettare sulla magistrale scrittura di Patti; in verità, è il senso più profondo del romanzo che mi sfugge, salvo il volerlo ritenere un mero divertissement, benché non credo sia il caso. Probabilmente nelle ambizioni dell'autore si trattava di un'opera da leggere a più livelli di approfondimento, a seconda della sensibilità del lettore nell'addentrarsi nei diversi piani simbolici nascosti dietro l'apparenza di un racconto leggero. Lo sconsiglio a chi non conosce ancora Patti, perché potrebbe farsi un'idea imprecisa del narratore catanese. Sarebbe allora preferibile iniziare con Giovannino, meglio ancora con Un bellissimo novembre.

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