Voler parlare su queste pagine di un romanzo così celebre e celebrato ha poco senso. D'altronde, cosa mai si potrà dire di nuovo? Al tempo stesso, però, quando un libro è un classico ha sempre qualcosa da raccontare, anche a distanza di anni e di migliaia di recensioni e saggi critici.
Dell'opera principale di Remarque, vero e proprio classico moderno, è stato scritto tutto; tradotta in tante lingue e venduta in milioni di copie, non c'è bancarella dell'usato in cui non se ne trovi anche più di un esemplare. La trama è arcinota: alcuni giovani studenti tedeschi, infiammati dalla propaganda sciovinista, si arruolano volontari per combattere nella Prima guerra mondiale, inconsapevoli di ciò che li attende una volta giunti al fronte. Moriranno quasi tutti, schiantati dalle artiglierie, colpiti da proiettili vaganti, dilaniati dalle schegge, avvelenati dai gas, perfino pugnalati nei terribili assalti all'arma bianca nelle trincee nemiche. Il libro nulla nasconde degli orrori visti e delle sofferenze patite da tutti quei giovani, alcuni poco più che bambini. Un resoconto autentico, duro e tagliente come sa essere solo la verità.
Consapevole di non poter dire nulla di nuovo o di originale, voglio concentrarmi soltanto su un aspetto, quello che mi ha colpito di più. Perché se è vero che Niente di nuovo sul fronte occidentale è principalmente un grido d'accusa contro l'insensatezza della guerra e uno straordinario manifesto pacifista, c'è un altro tema che a Remarque stava particolarmente a cuore, ovvero il tradimento generazionale. Paul e gli altri sono convinti ad arruolarsi dal loro professore di liceo, il nazionalista Kantorek. Questi è un uomo tutto sommato insignificante, che tuttavia grazie a doti retoriche e al carisma esercitato sugli studenti per via del suo ruolo, li persuade ad arruolarsi volontari, di fatto spedendoli al macello. È lui il vero traditore, secondo Remarque, un uomo che ha barattato il suo ruolo di educatore con gli ideali stantii del nazionalismo e del bellicismo.
«Essi dovevano essere per noi diciottenni introduttori e guide dell'età virile, condurci al mondo del lavoro, al dovere, alla cultura e al progresso; insomma all'avvenire. […] Al concetto dell'autorità di cui erano rivestiti, si univa nelle nostre menti un'idea di maggiore prudenza, di più umano sapere. Ma il primo morto che vedemmo mandò in frantumi questa convinzione. Dovemmo riconoscere che la nostra età era più onesta della loro. […] Il primo fuoco tambureggiante ci rivelò il nostro errore, e dietro ad esso crollò la concezione del mondo che ci avevano insegnata.»
Questo è, secondo me, il tema centrale del romanzo, un significato forse più nascosto rispetto al palese messaggio pacifista (o meglio, antimilitarista tout court), eppure altrettanto se non addirittura più potente. I valori propagandati dalla classe dirigente crollano al ritmo del disvelamento delle loro menzogne, cadono nelle trincee fangose, sebbene i "professori" continuino imperterriti a propagandarli. E così i civili rimasti a casa non conoscono nulla del fronte, se non le mezze verità e le clamorose bugie raccontate dagli organi di stampa e dalla propaganda. Si opera pertanto un brusco taglio generazionale, destinato a non ricucirsi più. Gli adulti, coloro che avrebbero dovuto istruire i giovani e prepararli al futuro, li hanno invece condotti al massacro sull'onda di discorsi patriottici che si sono rivelati fallaci e menzogneri. La loro colpa è gravissima, quella di aver "contaminato i più schietti sentimenti giovanili", come argutamente riportato nell'introduzione di una vecchia edizione Oscar Mondadori. È la rottura di un patto generazionale, il tradimento della missione educativa, il traviamento dei ragazzi, portati su una strada sanguinosa che da soli mai avrebbero intrapreso. Il grido di rabbia di Remarque è dunque diretto contro quei burattinai che, ben nascosti nelle retrovie, hanno fomentato nei giovani un artificioso spirito belluino che in natura non gli apparteneva.
I soldati di Remarque sono costretti a sparare contro il proprio futuro; il loro è un destino di desolazione, anche per quanti sono all'apparenza scampati alla morte. La migliore gioventù ridotta a un bivacco di profughi lacerati nell'anima, una generazione annientata nel corpo e nello spirito, al punto che anche chi rimane non è davvero un sopravvissuto. Ragazzi a cui la porta dell'avvenire è stata definitivamente chiusa in faccia, perché anche quando torneranno a casa non troveranno che macerie.
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