Quando adocchio una bancarella che vende LP a poco prezzo, so già che il
ciarpame la farà da padrone. Eppure, nonostante innumerevoli volte l’unico
risultato conseguito sia stato respirare un mucchio di polvere, cedo sempre
alla tentazione. Non credo alla possibilità di fare l’affare, quanto piuttosto
spero di trovare qualche disco misconosciuto per cui valga la pena spendere il
prezzo di un caffè o poco più. Si sa che la storia della musica, come d’altronde
la letteratura, è piena di vicende meno note che avrebbero meritato un maggiore
approfondimento.
I’m not Russian dei
Mercenaries ne è l’emblema. Buttato alla rinfusa in mezzo a decine di raccolte
di Fausto Papetti, mi ha attirato per la copertina. E dire che è anche piuttosto
anonima! Quasi completamente bianca, riporta sulla sinistra il nome del gruppo
e sulla destra il titolo dell’album, con un’iscrizione aggiuntiva in
giapponese. Tutto faceva pensare ad un gruppo straniero alla Ultravox, compresi
i titoli delle canzoni, ma altri indizi dicevano il contrario: il nome dei
musicisti e alcuni piccoli disegni di celebri monumenti del Bel Paese.
I’m not Russian è un lavoro
oscuro, perla minore di un certo rock all’italiana che si era sviluppato all’inizio
degli Anni Ottanta, grazie ad autori come Gino d’Eliso o Faust’o. Dalle poche
notizie ricavabili sulla rete, si scopre che i Mercenaries erano una creatura
del chitarrista Claudio Dentes, autore di un album sperimentale pubblicato alla
fine degli anni Settanta, nonché musicista per artisti del calibro di Alberto Fortis e
produttore di successo. La formazione, oltre allo stesso Dentes alla voce e chitarra,
comprendeva Betty Vettori ai cori, Franco Cristaldi al basso e i due fratelli
Beppe e Piero Gemelli, rispettivamente alla batteria e chitarra (sotto lo
pseudonimo di Josè 1 e Josè 2). Il disco vede l’apporto di Claudio Fabi come produttore,
mentre in due tracce le tastiere sono suonate da Alberto Fortis, ospite d’eccezione
perché i componenti dei Mercenaries erano il gruppo spalla del cantautore. I’m not russian è il loro unico album,
pubblicato nel 1982 dalla Aleph Records, una sussidiaria della CGD.
La busta interna riporta i crediti ed i testi, tutti in inglese. Non è
facile definire il genere dei Mercenaries, perché non sono inquadrabili in
alcun genere. C’è però un immediato punto di riferimento, che emerge subito: i primi Police, quelli di Outlandos
d’amour per intenderci. Brani come Men
who fight, Radio e la title-track, infatti, risentono
evidentemente dell’influsso della band di Sting, tanto che a tratti i Mercenaries
fanno palesemente il verso ai Police. Eppure, sarebbe riduttivo parlare di un
disco derivativo. È un LP originale, che mescola pop elettronico con echi di new-wave, o meglio di synth-pop, e influenze di altri stili
come il reggae. Ho parlato di new-wave, ma va fatta una precisazione: nel
disco non dominano atmosfere cupe o claustrofobiche, quanto piuttosto ariose,
ampie, tipiche di un pop raffinato che si caratterizza per i repentini
cambiamenti di ritmo e l’uso dei cori. È forse un lavoro che in alcuni punti
risente degli anni, ma comunque sorprende già al primo ascolto per la cura
degli arrangiamenti e delle parti strumentali, che lasciano intuire la classe
di Dentes & soci.
La prima facciata contiene quattro gioielli. Il primo, Men who fight, ricalca lo stile dei
Police, al pari della successiva e incalzante Radio. Panorama drama è
una piccola gemma pop dal ritmo coinvolgente. Chiude la facciata la
meravigliosa White tornado, che
sfoggia una coda finale chitarristica da far impallidire gruppi più quotati, oltre
ad avere un testo suggestivo sorretto da un canto perfetto. Il lato B prosegue
sulla falsariga del primo, con brani più veloci e meno strutturati. Ancora una
volta sono i Police il necessario termine di paragone: si ascolti I’m not Russian, oppure la pimpante Intruder. Il disco sorprende fino all’ultimo
solco: si conclude con una delicatissima ballata cantata da Betty Vittori, Follow the string, così perfetta che
sembra di conoscerla da una vita.
È un disco di fatto ignoto,
ma che vale la pena ascoltare perché è un tentativo compiuto di uscire fuori
dai ristretti confini del pop-rock, per costruire qualcosa di più raffinato
che, almeno in Italia, non aveva precedenti (e sarei ben felice di essere
smentito). Nonostante sia abbastanza raro, è reperibile on-line
a prezzi irrisori.
LP "I'm not Russian" - Mercenaries - 1982, Aleph Records
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