Una piccola premessa è d'obbligo: per recensire questo romanzo di
Ishiguro, pubblicato nel 2005, è necessario rivelare alcuni particolari della
trama. A quanti preferiscono la sorpresa, consiglio pertanto di non andare
avanti nella lettura. Va subito detto che Non lasciarmi è un romanzo di
contrasti. Da un lato, è un colpo al cuore, un pugno nello stomaco che lascia
storditi e lividi dopo la lettura. Al tempo stesso, è di una tenerezza che
accarezza l'anima, per poi tradirne le aspettative nell'amaro finale. I fautori
dell'happy end ad ogni costo se ne tengano lontani, perché Ishiguro non ha
soluzioni consolatorie, non lancia un salvagente di speranza nell'oceano della
disperazione. La stessa scrittura sembra marcare il distacco: è fredda,
asettica, quasi scientifica. Nel titolo ho parlato di distopia, perché l'Autore
descrive l'utopia negativa di un assetto politico-sociale distorto; altri hanno
invece parlato di ucronia, a voler intendere l'immaginazione di un corso
alternativo degli eventi storici.
La vicenda è ambientata nell'Inghilterra dei primi anni Novanta, molto simile a quella che conosciamo se non per un agghiacciante particolare. Dopo la guerra è stato varato un progetto governativo che mira a sconfiggere le malattie più gravi utilizzando organi prelevati da cavie umane. Si tratta a tutti gli effetti di cloni, chiamati “donatori”, in tutto e per tutto simili agli altri uomini, con l'unica differenza che non possono riprodursi. La loro vita è scandita da fasi prestabilite, senza che sia possibile deviare dai binari che altri hanno deciso. I cloni sono creati in laboratori non meglio precisati; quindi vengono spediti in istituti sparsi per il Regno Unito, in attesa di diventare adulti per iniziare la routine delle “donazioni”, fino all'inevitabile conclusione del “ciclo”. Nel libro non si parla mai di “vita” o di “morte”, ma solo di “cicli”, a voler rafforzare l'idea che questi esseri indifesi sono trattati alla stregua di oggetti. È una società distopica, che ha barattato il benessere sanitario della collettività con lo sterminio programmato di altri esseri umani, degradati al ruolo di fornitori di pezzi di ricambio.
Hailsham è uno degli istituti in cui vengono allevati – è proprio il caso di usare questa parola – i piccoli “donatori”. È una specie di orfanotrofio, ma forse è più corretto parlare di collegio. A differenza di molti altri posti simili, Hailsham è un'isola felice, un hortus conclusus di stampo progressista, dove tutti i bisogni dei bambini sono soddisfatti. L'educazione è impartita dai “tutori”, adulti che incitano gli allievi a cimentarsi in ogni forma d'arte, una vera e propria ossessione che sarà spiegata soltanto nel finale. Quale sia la funzione di questo luogo non è subito chiaro: non ci sono esami, né bocciature, non si parla mai di genitori preoccupati per le sorti scolastiche dei figli. La vita è scandita da riti, come le esposizioni artistiche dei piccoli ospiti, oppure gli Incanti, periodici mercatini in cui i bambini possono acquistare ogni genere di cianfrusaglie.
Ai futuri donatori viene insegnato a prendersi cura l'uno dell'altro, come se fossero fratelli. Ruth, Kathy e Tommy, i tre straordinari protagonisti del romanzo, fanno di questo comandamento una vera e propria regola di vita. Insieme attraversano tutte le fasi dell'esistenza che viene loro concessa, consapevoli dell'amaro destino eppure intimamente convinti di poterlo cambiare. L'affetto che unisce Ruth, Tommy e Kathy va al di là della reciproca compassione, supera la commiserazione per la condivisione di un medesimo destino. È a tutti gli effetti amore, il sentimento umano per eccellenza, quello più intenso e al tempo stesso distruttivo. Accade allora che nel brutale meccanismo del programma governativo sulle donazioni si inceppi un ingranaggio: i responsabili dei centri si rendono conto che anche i cloni possono provare sentimenti, finanche innamorarsi al pari degli esseri umani da cui sono stati riprodotti. È una scoperta sconvolgente, il punto nevralgico del racconto, la chiave di volta dell'intera narrazione. Si potrebbe allora alludere a Pinocchio, al suo desiderio di diventare un bambino vero, infine esaudito dalla fatina perché il burattino aveva dimostrato di saper amare il proprio babbo, al pari di un ragazzo in carne e ossa. Nel romanzo di Ishiguro, invece, il miracolo sperato non si compie, nessuna fatina interviene in soccorso dei protagonisti.
Tante sono le tematiche approfondite o anche soltanto sfiorate dal romanzo, eppure l'Autore non adotta toni polemici o moralistici, ma si limita a raccontare i fatti, lasciando che sia il lettore a formarsi una propria opinione. In un certo senso, si tratta di un libro politico, che lancia strali contro la società tecnocratica a cui stiamo andando incontro a grandi passi; perché se è vero che ancora non siamo arrivati a tali eccessi, la tecnologia sta sempre di più controllando e orientando la nostra vita. Sta a noi, sembra dirci l'Autore, invertire la tendenza prima che sia troppo tardi.
Non lasciarmi è un romanzo commovente, quasi disturbante. Sembra una frase scontata, ma mai come in questo caso mi sento di affermare che non sarà facile dimenticare la storia narrata da Ishiguro. Chiuso il libro, i visi e le vicende dei protagonisti rimarranno a lungo nella mente del lettore, come accade solo con i grandi romanzi.
La vicenda è ambientata nell'Inghilterra dei primi anni Novanta, molto simile a quella che conosciamo se non per un agghiacciante particolare. Dopo la guerra è stato varato un progetto governativo che mira a sconfiggere le malattie più gravi utilizzando organi prelevati da cavie umane. Si tratta a tutti gli effetti di cloni, chiamati “donatori”, in tutto e per tutto simili agli altri uomini, con l'unica differenza che non possono riprodursi. La loro vita è scandita da fasi prestabilite, senza che sia possibile deviare dai binari che altri hanno deciso. I cloni sono creati in laboratori non meglio precisati; quindi vengono spediti in istituti sparsi per il Regno Unito, in attesa di diventare adulti per iniziare la routine delle “donazioni”, fino all'inevitabile conclusione del “ciclo”. Nel libro non si parla mai di “vita” o di “morte”, ma solo di “cicli”, a voler rafforzare l'idea che questi esseri indifesi sono trattati alla stregua di oggetti. È una società distopica, che ha barattato il benessere sanitario della collettività con lo sterminio programmato di altri esseri umani, degradati al ruolo di fornitori di pezzi di ricambio.
Hailsham è uno degli istituti in cui vengono allevati – è proprio il caso di usare questa parola – i piccoli “donatori”. È una specie di orfanotrofio, ma forse è più corretto parlare di collegio. A differenza di molti altri posti simili, Hailsham è un'isola felice, un hortus conclusus di stampo progressista, dove tutti i bisogni dei bambini sono soddisfatti. L'educazione è impartita dai “tutori”, adulti che incitano gli allievi a cimentarsi in ogni forma d'arte, una vera e propria ossessione che sarà spiegata soltanto nel finale. Quale sia la funzione di questo luogo non è subito chiaro: non ci sono esami, né bocciature, non si parla mai di genitori preoccupati per le sorti scolastiche dei figli. La vita è scandita da riti, come le esposizioni artistiche dei piccoli ospiti, oppure gli Incanti, periodici mercatini in cui i bambini possono acquistare ogni genere di cianfrusaglie.
Ai futuri donatori viene insegnato a prendersi cura l'uno dell'altro, come se fossero fratelli. Ruth, Kathy e Tommy, i tre straordinari protagonisti del romanzo, fanno di questo comandamento una vera e propria regola di vita. Insieme attraversano tutte le fasi dell'esistenza che viene loro concessa, consapevoli dell'amaro destino eppure intimamente convinti di poterlo cambiare. L'affetto che unisce Ruth, Tommy e Kathy va al di là della reciproca compassione, supera la commiserazione per la condivisione di un medesimo destino. È a tutti gli effetti amore, il sentimento umano per eccellenza, quello più intenso e al tempo stesso distruttivo. Accade allora che nel brutale meccanismo del programma governativo sulle donazioni si inceppi un ingranaggio: i responsabili dei centri si rendono conto che anche i cloni possono provare sentimenti, finanche innamorarsi al pari degli esseri umani da cui sono stati riprodotti. È una scoperta sconvolgente, il punto nevralgico del racconto, la chiave di volta dell'intera narrazione. Si potrebbe allora alludere a Pinocchio, al suo desiderio di diventare un bambino vero, infine esaudito dalla fatina perché il burattino aveva dimostrato di saper amare il proprio babbo, al pari di un ragazzo in carne e ossa. Nel romanzo di Ishiguro, invece, il miracolo sperato non si compie, nessuna fatina interviene in soccorso dei protagonisti.
Tante sono le tematiche approfondite o anche soltanto sfiorate dal romanzo, eppure l'Autore non adotta toni polemici o moralistici, ma si limita a raccontare i fatti, lasciando che sia il lettore a formarsi una propria opinione. In un certo senso, si tratta di un libro politico, che lancia strali contro la società tecnocratica a cui stiamo andando incontro a grandi passi; perché se è vero che ancora non siamo arrivati a tali eccessi, la tecnologia sta sempre di più controllando e orientando la nostra vita. Sta a noi, sembra dirci l'Autore, invertire la tendenza prima che sia troppo tardi.
Non lasciarmi è un romanzo commovente, quasi disturbante. Sembra una frase scontata, ma mai come in questo caso mi sento di affermare che non sarà facile dimenticare la storia narrata da Ishiguro. Chiuso il libro, i visi e le vicende dei protagonisti rimarranno a lungo nella mente del lettore, come accade solo con i grandi romanzi.
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