Raramente
leggo romanzi gialli, non sono mai stato un appassionato del genere, salvo
qualche incursione fumettistica (Nick Raider, Diabolik). Per Dürrenmatt faccio volentieri un'eccezione, forse perché non
era un giallista puro, né i suoi romanzi possono essere confinati entro i
ristretti limiti di un genere. Si leggano due capolavori come Il giudice e il suo boia e La panne: il caso da risolvere c'è, ma è un pretesto per
affrontare problematiche giuridiche tra le più profonde, quali il rapporto tra
colpevolezza e punizione, o il conflitto tra la verità processuale e le
ingarbugliate implicazioni del reale. La promessa merita invece un discorso a
parte, perché lo scrittore svizzero scopre subito le carte in tavola e annuncia
già nel sottotitolo di voler scrivere un “requiem per il romanzo poliziesco”.
Gli
scrittori di gialli, sostiene Dürrenmatt,
ignorano colpevolmente il ruolo che la casualità gioca nell'intreccio del
reale. Credono ciecamente nella ragione, aderiscono fideisticamente al mito
dell'intelletto, quale unica forza in grado di decifrare misteri apparentemente
insolubili. Per loro l'indagine è un affare squisitamente umano, un balocco
della ragione, che da sola e senza l'aiuto di circostanze esterne sa dipanare
il garbuglio. Sherlock Holmes è l'esempio tipico di questa impostazione. E
invece lo scrittore svizzero ritiene che tale approccio sia fallace, o comunque
riduttivo e insufficiente.
«Alla realtà si accede solo in parte con la logica. […] Spesso solo la fortuna o il caso intervengono in nostro favore. O in nostro sfavore. E invece nei vostri romanzi il caso non interviene mai, e se qualche elemento sembra casuale lo si attribuisce a una coincidenza o al destino. È sempre stato così, voi scrittori la verità la gettate in pasto alle regole drammaturgiche. […] Di un fatto non si potrà mai venire a capo nel modo in cui si risolve un calcolo matematico, se non altro perché non arriviamo mai a conoscere tutti gli elementi necessari ma disponiamo solo di alcuni dati, per lo più marginali. E troppa importanza assumono allora il caso, l'imprevisto, l'imponderabile.»Ne La promessa, per dimostrare questa teoria, Dürrenmatt costruisce un intreccio esemplare. Matthäi è uno dei più brillanti commissari di Zurigo, destinato a una luminosa carriera fuori dalla Federazione; i funzionari elvetici l'hanno infatti scelto per una delicata missione istituzionale in Giordania. Il giorno prima di partire per Amman si verifica un evento che muta completamente il suo destino. Una bambina, Gritli Moser, viene brutalmente assassinata in un bosco, come era già accaduto anni prima a due sue coetanee. Matthäi, giunto sul luogo del delitto, promette solennemente ai genitori della piccola che troverà l'assassino e lo consegnerà alla Giustizia. La promessa diventa ossessione, in grado di scardinare la mente razionale e fredda del commissario. Viene arrestato von Gunten – anch'egli un perfetto zero come suggerisce il nome –, un venditore ambulante già conosciuto dalle forze dell'ordine. Contro di lui ci sono indizi e persino una confessione (estorta), ma manca la prova della colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio. Matthäi non è convinto della responsabilità di von Gunten e inizia una sua personale indagine alla ricerca del vero assassino. In mancanza di appigli logici e non disponendo di elementi probatori da poter approfondire, Matthäi si affida al Caso, lasciando che sia quest'ultimo a lavorare per lui, a far cadere il vero assassino entro una tela di ragno meticolosamente tessuta. L'ossessiva ricerca del commissario va di pari passo con il suo abbrutimento fisico e morale, al punto che finisce per essere considerato un pazzo anche dalle persone a lui più vicine. E invece alla fine la sua intuizione si rivelerà azzeccata, e sarà per l'appunto la casualità a dare una risposta definitiva alle domande lasciate aperte.
Dürrenmatt
era uno scrittore dalle intuizioni geniali, come dimostra anche questo romanzo.
Per lui il mondo – e più in generale la realtà – era un mistero inestricabile,
un codice solo parzialmente decifrabile dalla ragione. Ne La promessa questa
tesi viene portata alle estreme conseguenze, nella parte in cui giustappunto si
afferma che «la nostra ragione getta una luce insufficiente sul mondo; nella
penombra dei suoi confini si insedia tutto ciò che è paradossale». Ecco perché
i romanzi dello scrittore elvetico hanno il sapore di una scoperta per chi vi
si imbatte, magari proprio casualmente. Sono così ricchi di significati
reconditi che meritano di essere letti e riletti, magari a distanza di tempo.
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