9 novembre 2021

"I fuochi del Basento" di Raffaele Nigro: un secolo di lotte contadine

La storia del Mezzogiorno è un succedersi di lotte sociali, ribellioni, rivoluzioni riuscite o abortite. Il vento del cambiamento ha sempre soffiato sul Meridione, nonostante la sua posizione periferica rispetto ai centri europei del pensiero liberale, Londra e Parigi su tutti. Si pensi al periodo murattiano, oppure alle cicliche rivolte antiborboniche che infiammarono il Regno negli anni 1820-21, 1848, 1857. Com'è noto, l'unificazione nazionale non placò il fuoco della ribellione, che anzi si rinvigorì nei confronti del nuovo nemico, identificato nei Savoia invasori. La letteratura meridionale del Novecento ha sempre guardato con interesse a questo fermento, tentandone un'analisi dal punto di vista politico, economico e sociologico. E se pure ci sono autori che hanno approfondito l'incidenza del pensiero liberale e carbonaro nel Meridione, il tema portante è da sempre la dicotomia tra baroni e braccianti, declinata nelle sue varie forme: galantuomini e cafoni, civili e zappaterra, giamberghe e zampitti, signori e servitori. Tanti sono i romanzi che hanno affrontato la tematica; tra i più importanti, Le terre del Sacramento e Signora Ava di Francesco Jovine, L'eredità della priora di Carlo Alianello, ma anche Fontamara di Ignazio Silone.
Il melfitano Raffaele Nigro nel 1987 aggiunse un altro tassello alla già lunga e nobile lista. Il suo tentativo sembrava fuori tempo massimo, in un'epoca che aveva esaurito la spinta della prima ondata meridionalistica ed era ancora molto lontana dal revisionismo storiografico dei giorni nostri. E invece I fuochi del Basento incontrò il favore di pubblico e critica, con la vittoria dei premi Campiello e Napoli. La ragione del successo è presto detta: è scritto bene ed è appassionante e labirintico come tutte le grandi storie. É un romanzo corale, una vera e propria saga familiare che racconta le vicende di quattro generazioni della famiglia Nigro, dalla seconda metà del XVIII secolo fino al 1863. I personaggi attraversano da protagonisti uno dei periodi più travagliati della storia del Mezzogiorno, che vede avvicendarsi sul trono di Napoli i Borbone, i Francesi con Re Murat, poi di nuovo i Borbone con la Restaurazione e infine i Savoia. Non ci sono però soltanto le grandi lotte per il potere: in basso c'è tutto un mondo contadino in fermento, che segue con interesse e partecipazione le vicende politiche, nella speranza che le rivoluzioni conducano finalmente alla tanto desiderata spartizione delle terre.
I fuochi del Basento racconta proprio il sogno di una repubblica contadina, un governo equo retto dalle migliori menti e dalle braccia più robuste, l'utopia di una società in cui a comandare siano gli intellettuali più illuminati assieme a chi lavora la terra. Questo è il sogno di Francesco Nigro, protagonista del romanzo, che da bracciante si fa capobrigante, coltivando il sogno di imparare a leggere e scrivere per affrancarsi dalla schiavitù. Sulla stessa lunghezza d'onda si muovono altri personaggi, che infiammano le terre di Puglia e Basilicata per affermare la propria libertà. Sull'altro versante della barricata ci sono gli aristocratici, reazionari che vogliono mantenere lo status quo e provano orrore per un governo fatto di "cafoni e cacacarte". Raffaele Nigro ha ricostruito con dovizia certosina un territorio e un'epoca spesso ignorati dai libri di storia; è un romanzo denso e corposo, che "pesa" più delle duecentocinquanta pagine che lo compongono. C'è dentro tutto un mondo, una mole straordinaria di personaggi e vicende, che lo rendono un classico contemporaneo. Per quanto sia arrivato tardi rispetto ad altre pietre miliari della letteratura meridionale (e meridionalistica), è riuscito comunque a ritagliarsi un posto d'onore. Altre opere forse hanno raccontato la rivoluzione con maggiore approfondimento politico; penso a Il resto di niente di Striano o a Noi credevamo della Banti. Tuttavia, I fuochi del Basento può vantare una narrazione di più ampio respiro, che abbraccia oltre un secolo di storia locale ed europea.
Per quanto riguarda il linguaggio, Nigro optò per l'uso dell'italiano in luogo del dialetto. Una scelta non facile, che tuttavia si è rivelata felice. Il rischio di una tale scelta è quello di sacrificare la credibilità dei personaggi, rendendo innaturale il loro modo di esprimersi. Invece i braccianti di Nigro parlano una lingua accurata ma semplice, perfettamente verosimile grazie al sapiente inserimento di dialettismi e costruzioni lessicali mutuate dal linguaggio informale del ceto contadino. Un libro che non può mancare in una piccola biblioteca di letteratura meridionale.
Prima edizione Camunia del 1987

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