10 giugno 2022

Andrej Tarkovskij, il cinema come percorso mistico

A causa di decisioni politiche scellerate stiamo vivendo il momento più basso delle relazioni tra Italia e Russia dalla fine del secondo conflitto mondiale. Mai come in questi giorni andrebbero pertanto riscoperti i secolari legami tra i due popoli. E invece, persino in certi ambienti culturali evidentemente inquinati dalla malafede ideologica, l'arte russa è stata bandita, come se le colpe dei governanti dovessero ricadere sugli incolpevoli intellettuali. Vale allora la pena rievocare una vicenda quasi dimenticata: c'è stata un'epoca in cui uno dei più grandi cineasti sovietici ambientò proprio in Italia uno dei suoi massimi capolavori.
Nostalghia, di Andrej Tarkovskij, fu girato nel 1983 tra la Toscana e Roma. È facile riconoscere alcuni tra i luoghi più suggestivi del Centro Italia: le terme di Bagno Vignoni, l'Abbazia di San Galgano, la chiesa sommersa di Santa Maria in Vittorino, la scalinata di Piazza del Campidoglio. La cinepresa trasfigura questi luoghi, rendendoli brumosi, malinconici, circondati da un'aura mistica. Strumento della trasfigurazione è l'acqua, che è per Tarkovskij l'elemento essenziale, la forza primordiale che genera la vita. Ci sono le sorgenti fumanti della vasca di Bagno Vignoni, il torrente che entra dal portale della Chiesa di Santa Maria in Vittorino, la pioggia che cade come un manto sulle rovine di San Galgano; e ancora, non si contano nel film le scene in cui la cinepresa indugia su una pozzanghera, un rivo, uno specchio d'acqua e persino su una bottiglia o una bacinella. E lì dove manca l'acqua, c'è la morte, come nella drammatica scena in cui Domenico si dà fuoco in Piazza del Campidoglio.
Parlare della trama ha poco senso, dato che nel film la narrazione prevale sull'intreccio e la vicenda è subordinata alla raffigurazione. A ogni buon conto, tutto ruota intorno al malessere di Andrei Gorčakov, un poeta sovietico recatosi in Italia per ripercorrere i passi di un suo celebre connazionale, un compositore del Settecento. In Unione Sovietica Andrei ha lasciato la moglie e i figli che accorati ne attendono il ritorno. Sua compagna di viaggio è Eugenia, una giovane interprete che è attratta dal poeta ma al tempo stesso non tollera la sua scarsa intraprendenza. Andrei è infatti un uomo spento, taciturno, malinconico, ingabbiato nelle spire di una vita che giudica falsa, impoetica, priva di slanci.
L'incomunicabilità è uno dei temi centrali del film: non c'è affinità tra Andrei e la sua interprete, né con la sua famiglia che lo aspetta in Russia. Lo stesso distacco emotivo lo vive rispetto al suo lavoro, tanto che di fatto non scrive neppure una riga della biografia che aveva in mente. Eppure il viaggio in Italia lo trasforma irrimediabilmente. In Toscana incontra Domenico, ritenuto pazzo dai suoi concittadini perché ha tenuto rinchiusa in casa la sua famiglia per sette lunghi anni in attesa della fine del mondo. Domenico è un uomo diffidente, un visionario ossessionato dalle credenze millenaristiche; eppure è con lui che Andrei inizia un percorso spirituale e di rivelazione. Per Tarkovskij anche il cinema è un atto di preghiera e non a caso le due scene che aprono e chiudono il film sono imbevute di profondo misticismo. Mi riferisco alla scena iniziale della Madonna del parto e a quella finale del rito della candela di Santa Caterina.
Nostalghia è tutt'altro che un'opera semplice. Tarkovskij ha compiuto un'operazione ambiziosa e quasi folle: trasporre su pellicola il ritmo, la forma e la sostanza della poesia. Nostalghia è a tutti gli effetti poesia cinematografica, un potente condensato di immagini liriche e rimandi onirici che non è possibile riassumere entro i confini dell'ordinario narrare. Come nella poesia ogni parola è portatrice di innumerevoli significati, così ogni scena del film può essere letta e interpretata a seconda della sensibilità dello spettatore. È un film volutamente lento e riflessivo, in cui i silenzi predominano sugli scarni dialoghi; ciò, paradossalmente, restituisce alla parola la sua centralità. La parola in Tarkovskij, al pari dell'acqua, è forza creatrice che va centellinata.
Gli attori sono perfettamente funzionali a ciò che il regista aveva in mente. Domina la scena Oleg Jankovskij, con il suo viso afflitto, l'incedere lento, le poche parole soffiate dalle labbra. Egualmente degne di nota l'interpretazione intensa e drammatica di una giovanissima Domiziana Giordano nel ruolo di Eugenia, nonché quella di Erland Josephson nel ruolo di Domenico.
Nostalghia è un lungometraggio difficile e persino coraggioso nelle scelte stilistiche, che andrebbe visto più volte per cogliere almeno una parte dei molti significati nascosti. Sarebbe bene riscoprirlo oggi, per comprendere che la cultura russa non è poi così lontana come qualcuno malignamente suggerisce.
Poster del film (immagine tratta da travelingintuscany.com)

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