Era da tempo che avevo
programmato la visione di Maledetti vi amerò (1980), film d'esordio di Marco
Tullio Giordana, regista che ho avuto modo di conoscere ai tempi del liceo con
la proiezione de I cento passi. L'evento che infine mi ha spinto ad attuare il
proposito è stata la recente scomparsa del grande Flavio Bucci, che ne è
l'assoluto protagonista. E in effetti non è possibile pensare ad un interprete
migliore: il suo volto asimmetrico e l'espressione stralunata sono perfetti per
rendere l'alienazione del personaggio principale.
Riccardo, detto
Svitol, ritorna nella città natale di Milano dopo sei anni di esilio volontario
in Venezuela. Non ci è dato sapere il motivo del suo allontanamento
dall'Italia: forse la volontà di evitare guai con la giustizia, sebbene non
abbia che piccole segnalazioni di polizia. O forse, più verosimilmente, la scelta
di cambiare aria per respirare altrove un sogno di libertà e rivoluzione
impossibile nel Belpaese. Svitol è stato uno dei protagonisti del Sessantotto,
un irriducibile “compagno”, di quelli che credevano davvero di poter cambiare
il mondo. Ma l'Italia che trova al ritorno non è più quella che ha lasciato.
Sono passati solo sei anni, ma eventi luttuosi hanno stravolto gli
equilibri e scavato in profondità nell'animo dei cittadini: le stragi senza
nome, gli opposti antagonismi, i ragazzi ammazzati di destra e di sinistra,
l'assassinio di Pasolini, le Brigate Rosse e quelle nere, i tentativi di golpe,
i servizi deviati, l'omicidio di Aldo Moro.
Svitol prova a
riappropriarsi del suo mondo, ma deve amaramente convenire che per lui non c'è
più posto. Da temibile rivoluzionario è diventato un reietto, un personaggio
privo di spessore come un disoccupato qualunque, ignorato persino dal sistema
che si era illuso di combattere. Inizia allora un estenuante andirivieni
per la città, alla ricerca degli amici di un tempo, nella speranza che almeno
loro non siano cambiati. Scoprirà invece che quanti stavano con lui sulle
barricate hanno in un modo o nell'altro tradito i vecchi ideali: c'è chi è
diventato agente di borsa, chi si è arricchito più o meno lecitamente, chi è
schiavo dell'eroina e chi campa con piccoli commerci di articoli usati. Nessuno
ha proseguito sulla strada dell'intransigenza, tutti si sono arresi di fronte
all'amara constatazione che «ne ammazza più la depressione che la repressione».
Sconfortato e deluso dai vecchi compagni, Svitol, per un
incredibile paradosso, diventa confidente e amico di un commissario di polizia,
interpretato da un gigantesco Biagio Pelligra, attore mai sufficientemente
lodato. Anche il commissario è un personaggio ai margini, che ha perso
entusiasmo nel proprio lavoro da quando ha scoperto il filo rosso che unisce apparati
deviati dello Stato ed eversione. Pure lui è solo, perché «alle donne che
piacciono a me, non piacciono i commissari».
Maledetti vi amerò è
un film del 1980, figlio dei suoi tempi e per questa ragione un po'
invecchiato. Vale certamente come testimonianza storica di un'epoca complicata
e decisiva; è dunque uno strumento di analisi più immediato ed efficace di
tanti libri sull'argomento. All'epoca se ne discusse molto, e se ho deciso di
scriverci qualche riga è per una certa somiglianza con un
vero e proprio capolavoro del nostro cinema, San Michele aveva un gallo dei
fratelli Taviani, interpretato dal compianto Giulio Brogi. Non sono il solo ad
aver notato il parallelismo tra Svitol e Giulio Manieri, come ho avuto modo di
verificare navigando sulla rete. Manieri è il protagonista del lungometraggio
dei Taviani; è un anarchico individualista, condannato a una lunga e
solitaria detenzione dopo il fallimento di un'azione insurrezionale. Anche in
questo caso il suo unico amico è un pietoso secondino (Daniele Dublino). Dopo
anni di isolamento in cella, è trasferito in un altro carcere; durante il
viaggio ha modo di conoscere un gruppo di rivoluzionari socialisti, con cui
cerca di stabilire un contatto. L'esito è infausto, perché Giulio si rende
conto di essere un relitto storico, di non comprendere le parole dei suoi
compagni di prigionia e di non essere compreso da loro. I suoi ideali e il suo
linguaggio sono irrimediabilmente vecchi, superati, inutili; il suicidio
diventa allora l'unica strada possibile. Identica dinamica per Svitol, che invece
si fa ammazzare dall'amico poliziotto, piuttosto che farla finita da solo. Se
dunque ne estrapoliamo il senso profondo e universale, anche attraverso
un'analisi comparativa, Maledetti vi amerò è un film che può uscire dal recinto
ideologico in cui altrimenti sarebbe confinato. È il racconto lucido e
disincantato della fine di un'epoca, che porta con sé, come è ovvio e naturale
che sia, la fine dei suoi protagonisti e ideali, destinati ad arrendersi al
vento del cambiamento.
Il commissario (Biagio Pelligra) e Svitol (Flavio Bucci) sulla locandina
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