14 luglio 2023

"Il conto dell'ultima cena" di Andrea G. Pinketts: il prezzo dell'eterna adolescenza

Non amo le saghe letterarie, perché se un romanzo mi piace non ho il desiderio di scoprire che ne è stato del protagonista una volta chiuso il libro. Se un capolavoro è davvero tale non ha senso scriverne un seguito, perché il capolavoro è un'opera perfettamente compiuta che non tollera aggiunte. Lo sappiamo tutti, sebbene sia difficile da ammettere: di solito il sequel è una delusione e il terzo fa sempre schifo. A parte Rambo, ma questa è un'altra storia.
Per Pinketts ho fatto un'eccezione, leggendo i primi quattro volumi della saga di Lazzaro Santandrea, vero e proprio alter ego dell'autore. Iniziai nel 2006 con Il senso della frase, che poi è il terzo in ordine di pubblicazione. Per quindici anni non ho più letto nulla dello scrittore milanese, fino a quando, in piena seconda ondata covid, nel dicembre 2020 ho scovato su una bancarella Il vizio dell'agnello. L'esordio della serie, Lazzaro, vieni fuori, l'ho letto l'anno scorso a giugno, mentre Il conto dell'ultima cena l'ho terminato in questi giorni. Ci sono voluti tanti anni perché nulla è stato programmato e neppure ho seguito l'ordine giusto. Poco male, perché si possono leggere anche senza rispettare l'ordine di uscita.
Il conto dell'ultima cena (1998) è il quarto volume con protagonista Lazzaro. È un romanzo molto ambizioso, come si evince dalle quasi cinquecento pagine e dalle tematiche trattate. Ho avuto l'impressione di un'opera diversa dalle precedenti, come se Pinketts avesse voluto imprimervi il timbro della maturità. L'incipit è in proposito eloquente.
«Cercavamo di ammazzare il tempo prima che il tempo ammazzasse noi.»
Lazzaro Santandrea ha trentatré anni, la stessa età in cui sono morti Gesù Cristo e John Belushi. Il mondo intorno cambia e persino il suo più caro amico, Pogo il Dritto, sembra aver messo la testa a posto dopo la nascita del figlio. Lazzaro invece non ha ancora deciso cosa fare da grande: è sempre uguale a se stesso e cerca di prolungare artificiosamente una spensierata, infinita adolescenza. Ha ereditato una casa di proprietà, ma vive quasi sempre nell'appartamento di famiglia assieme alla madre, alla nonna e alla donna di servizio filippina. Di lavorare non se ne parla, nonostante abbia ancora in tasca il tesserino scaduto dell'ordine dei giornalisti da esibire come passepartout. Le sue giornate tuttavia non sono noiose: veleggia in taxi da un bar all'altro e i guai sembrano avere una speciale predilezione per lui. Non aggiungo altro della trama: basti sapere che Lazzaro vedrà la Madonna e a seguito dell'apparizione si troverà coinvolto, come al solito, in storie di sangue che rivelano la parte più torbida dell'animo umano.
Quantunque l'assoluto mattatore della vicenda sia lui, Il conto dell'ultima cena è un romanzo corale. Lazzaro è circondato dal gruppo di amici storici del Giambellino, la sua corte dei miracoli, a cui per l'occasione si aggiungono personaggi indimenticabili: il senzatetto Marinoni, la lesbica militante Grandine Lomax, il timido rappresentante di biancheria intima Monfiorito, e soprattutto il roccioso professor Terulli, eroe di guerra nostalgico del ventennio. È un caravanserraglio di personaggi e storie che si intrecciano, si interrompono e poi vengono riprese quando il lettore è quasi sul punto di dimenticarle. Pinketts in questo romanzo della maturità ha dimostrato di saper trattare con grande maestria la materia narrativa: non è da tutti inserire nelle stesse pagine visioni mistiche e bevute epiche, Madonne che salvano e altre che uccidono, sinceri credenti e incalliti bestemmiatori. Ecco perché non ha senso incasellarlo in un genere: giallo, noir, picaresco, umoristico o romanzo di formazione, poco importa. Anche gli omicidi sono un pretesto, perché Lazzaro non è un detective e in fondo a noi lettori interessa poco la soluzione del mistero. La verità è che Pinketts voleva semplicemente raccontare il mondo che amava e persino un delitto (di fantasia) poteva essere un ottimo pretesto.
Ripeto quanto ho già scritto a suo tempo nella recensione de Il vizio dell'agnello, perché è valido anche per questo romanzo: Pinketts ci restituisce con vivide pennellate gli umori e i dolori di una Milano nevrotica e nera, nonché lo spirito di un'epoca, la metà degli anni Novanta, che oscillava tra gli ultimi palpiti di un passato dorato e l'avanzare del futuro scialbo e impoetico che costituisce ormai il nostro presente. Le scene si svolgono nei luoghi che lo scrittore conosceva bene: appartamenti signorili del centro, palazzoni informi di periferia, bar, caffè, discoteche, locali notturni e persino chiese e oratori.
Se avete letto altri romanzi dello scrittore milanese, Il conto dell'ultima cena non può mancare alla collezione. Scoprirete un Lazzaro maturo, più riflessivo, permeato finanche da un sincero afflato religioso. Per chi invece non ha mai letto Pinketts, consiglio di iniziare dal primo volume della saga, Lazzaro, vieni fuori. Sul blog non ne ho parlato, ma vi assicuro che è un libro straordinario, il fulminante esordio di uno scrittore di razza che ci manca tanto.
Ultima edizione Oscar Gialli (2018)

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